A Call for Justice and Action for Myanmar
A un anno dalla sentenza del TPP sul genocidio
Settembre 2017 – Settembre 2018
1.La sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli sul Myanmar: genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità
Un anno fa, il 22 settembre 2017, il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) sul Myanmar, dopo aver ascoltato le testimonianze di vittime ed esperti nella sua sessione svoltasi a Kuala Lumpur, ha concluso che in Myanmar sono stati commessi crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Questo è stato il primo giudizio che qualifica il genocidio commesso contro i Rohingya, insieme ad altri gravi e odiosi crimini perpetrati contro altri gruppi che attualmente stanno subendo persecuzioni da parte dello Stato del Myanmar. Riconoscendo che le sue analisi hanno un’applicabilità continua e sempre maggiore, la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Malaya (Malesia) sta pubblicando la sentenza, presto tradotta nelle lingue birmana, bengalese e rohingya per garantire l’accesso delle comunità più colpite.
Il Tribunale Permanente dei Popoli sul Myanmar si è riunito in prossimità dell’ultima e più intensa offensiva contro i Rohingya lanciata il 25 agosto 2017 dalle forze armate del Myanmar in collaborazione con le milizie locali, che ha portato decenni di assalti e repressione a un livello senza precedenti. Durante le sue deliberazioni, il TPP ha ascoltato il discorso del Consigliere di Stato Aung San Syu Kyi pronunciato dinanzi al corpo diplomatico di Yangon, che negava qualsiasi persecuzione. Il discorso, che giustificava gli eventi in atto come una risposta agli attacchi, di portata inferiore, lanciati dai militanti sui posti militari di frontiera, è stato incluso negli atti del Tribunale come dichiarazione di difesa del governo del Myanmar.
Il Tribunale ha osservato la situazione dei Rohingya attraverso una lente più ampia, rispondendo anche alle richieste della comunità Kachin e di altri musulmani in Myanmar per decidere sulla loro situazione. Nella sua sentenza, il Tribunale ha riconosciuto che, contro i Kachin, sono stati compiuti crimini di guerra e che questi sono ancora in corso; contro i Rohingya, i Kachin e la minoranza musulmana sono stati compiuti crimini contro l’umanità e vi è stata la deliberata volontà di attuare un genocidio da parte dello Stato del Myanmar. Nell’anno trascorso dal giudizio del TPP, tutti questi crimini si sono intensificati ed estesi anche ad altri gruppi, in particolare Shan e Ta’ang.
2. Le altre voci di denuncia, protesta e sostegno
La stampa mondiale, ricercatori e agenzie umanitarie di tutto il mondo hanno prodotto numerosi rapporti che hanno amplificato il giudizio fondato del Tribunale secondo cui l’intento genocidiario contro i Rohingya si era già verificato nel 1978. Inoltre, è stato ripreso da un certo numero di accademici e in rapporti giuridici l’esame dei ripetuti pogrom del 2002, 2012 e 2016. Tutti questi avvertimenti sono stati ignorati dalla maggioranza della comunità internazionale e il processo di genocidio ha continuato il suo terribile corso.
Tuttavia, di fronte all’esodo di massa del 2017, in seguito all’intensificazione militare pianificata dallo Stato, la realtà non ha potuto più essere negata, anche se molti si rifiutano ancora di chiamarla con il suo nome e potenti istituzioni si rifiutano di agire.
Il governo del Bangladesh, un paese densamente popolato, esposto ad eventi climatici estremi, ha aperto le sue porte e scavato nelle sue limitate risorse per sostenere quasi un milione di rifugiati Rohingya, ma le condizioni nei campi sono note a tutti come impossibili da sopportare a lungo. La stima delle Nazioni Unite di 98 milioni di dollari necessari per i soccorsi di emergenza rimane finanziata solo al 38%. Anche se numerosi leader mondiali hanno visitato i campi per esprimere il loro disappunto e il loro dispiacere, non sono state fornite risposte ai bisogni umanitari di base dei rifugiati.
Il Tribunale Permanente dei Popoli esprime pieno consenso e adesione al lavoro della Missione delle Nazioni unite e in particolare alla presa di posizione del Segretario generale Antonio Guterres del 28 agosto 2018.
3. La ricerca della giustizia: i passi recenti (in avanti e indietro)
Questi e altri sforzi per rendere giustizia alle vittime del prolungato incubo del Myanmar e per porre fine all’impunità sono stati accolti da radicali e arroganti smentite del governo e da tentativi di mettere a tacere i critici, come nel caso dei due giornalisti condannati per aver osato indagare uno dei massacri.
Il Tribunale Permanente del Popolo chiede alla comunità internazionale di agire adesso. I fatti sono noti. Non possiamo accettare che un altro genocidio venga compiuto sotto gli occhi del mondo nell’era di internet quando nessuno può più dire: “Io non sapevo, io non ho visto”.
Un rinvio alla Corte penale internazionale è la risposta giudiziaria minima per giungere ad un effettivo accertamento delle responsabilità degli autori delle atrocità commesse in Myanmar. In questo contesto, rappresenta un importante passo in avanti la decisione della Camera preliminare I (la “Camera”) della Corte penale internazionale del 6 settembre scorso, secondo cui la Corte può esercitare la giurisdizione sulla accusa di espulsione dei Rohingya dal Myanmar verso il Bangladesh, anche se lo Stato del Myanmar non ha aderito allo Statuto di Roma. È altrettanto importante segnalare la successiva decisione del Procuratore di aprire un’inchiesta preliminare.
Tuttavia, la deportazione è solo uno dei tanti crimini commessi dallo Stato di Myanmar sui Rohingya. In assenza di qualsiasi speranza per un rinvio al Consiglio di sicurezza per genocidio e crimini contro l’umanità, sosteniamo la proposta di Michelle Bachelet, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani appena nominata, per l’azione che dovrà essere presa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua sessione del 2018.
5. Una chiamata all’azione per il Myanmar
Poiché queste tardive iniziative degli organismi ufficiali incaricati dalle Nazioni Unite avviano solo ora il percorso che potrà condurre a decisioni di organi giurisdizionali, è sempre più pressante l’esigenza di estendere la mobilitazione delle coscienze e trovare soluzioni praticabili alla crisi prima che sia troppo tardi. Mentre ci avviciniamo al 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, “Mai più” non può essere uno slogan vuoto dietro al quale c’è solo la totale sottomissione del diritto internazionale al peso di un potere ispirato da logiche esclusivamente politiche e generatrici di intollerabili diseguaglianze.
Il TPP ribadisce la sua richiesta di azione per il Myanmar. Propone un’iniziativa internazionale per elaborare una serie minima di raccomandazioni per un’implementazione immediata, tra cui: un piano realistico di ritorno volontario, sicuro e dignitoso per i Rohingya nella loro terra ancestrale, basato sul riconoscimento e la garanzia dei loro pieni diritti alla cittadinanza e come cittadini di Myanmar, un adeguato riconoscimento delle responsabilità degli attori delle atrocità commesse. L’iniziativa si realizzerà a Roma, dove la CPI è stata approvata 20 anni fa, all’inizio di dicembre 2018, in stretta coincidenza con il 70 ° anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite e con l’approvazione della Convenzione sul genocidio.
Consideriamo tale conferenza come un modo per costruire un movimento internazionale coordinato sulla condivisione di una diagnosi fondamentale: la tragica situazione in Myanmar illustra in modo chiaro ciò che sta accadendo in questo momento della storia, non solo in quel luogo, ma in tanti altri angoli del mondo. L’enorme difficoltà, e spesso il fallimento, del diritto internazionale nel proteggere gli individui da gravi violazioni, da parte dello Stato, dei diritti delle persone alla vita, ai mezzi di sostentamento ed alla dignità umana e la necessità di una vigile e attiva opinione pubblica internazionale capace di intraprendere la lotta per il rispetto dei diritti umani fondamentali.
Roma, 21 settembre 2018
Philippe Texier, Presidente
Helen Jarvis, Vice presidente
Nello Rossi, Vice presidente
Gianni Tognoni, Segretario generale
In rappresentanza del panel dei giudici della sessione di Kuala Lumpur, Malesia, 18 settembre 2017:
Daniel Feierstein, Presidente
Gill Boehringer, componente della giuria
Per info:
Simona Fraudatario
ppt@permanentpeoplestribunal.org