Il Tribunale ha dato ascolto ad una variabilità di casi e di violazioni dei diritti umani e dei popoli che possono essere raggruppati in aree tematiche dove si includono le principali sessioni e sentenze realizzate dal 1979 a oggi.
Lo spettro delle sessioni e sentenze a cui si fa riferimento in questo primo gruppo tematico comprende situazioni di decolonizzazione (Sahara occidentale, 1979; Eritrea, 1980; Timor orientale, 1981; Portorico, 1989), i problemi di autodeterminazione interna (Argentina, 1980; Filippine, 1980; El Salvador, 1981; Zaire, 1982; Guatemala, 1983) e le aggressioni esterne (Afghanistan I e II, 1981, 1982; Nicaragua, 1984). Rientrano in questa area tematica le situazioni di un popolo considerato minoranza nazionale, come i casi dell’Armenia (1984), dell’Amazzonia brasiliana (1990) e del Tibet (1992) e, infine, i lavori sull’ex Jugoslavia (1995), dalle cui analisi è emersa una esacerbazione del diritto all’autodeterminazione che, per il Tribunale, deve essere sempre ricondotto al rispetto dei diritti fondamentali.
Il Tribunale ha dedicato numerose sessioni alle cause strutturali che violano l’autodeterminazione dei popoli. In questo filone tematico rientra la documentazione sulle responsabilità di Stati, istituzioni internazionali e attori economici, principalmente agenzie finanziarie internazionali e imprese transnazionali, nella violazione dei diritti umani e dei popoli. Si tratta di un lungo elenco di sessioni che vanno da quelle sulle politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale (1989; 1994), sui disastri di Bophal (1992; 1994) e Chernobyl (1996), fino alle più recenti sulle imprese transnazionali in Colombia (2006-2008), in America Latina (2006-2010; 2014), sulle politiche di libero commercio in Messico (2011-2014). Fanno parte dello stesso gruppo le sessioni sulle imprese produttrici di pesticidi (2011), sulle grandi opere in Europa (2015), sul salario dignitoso per le donne lavoratrici nell’industria dell’abbigliamento (2011-2015), sulle imprese transnazionali nei paesi dell’Africa subsahariana (2016-2018), sul fracking e cambiamento climatico (2018) e, infine, sul Cerrado brasiliano (2019-2022). La documentazione e le analisi messe a disposizione dal TPP documentano la natura non occasionale degli abusi commessi, che il Tribunale ha qualificato, a seconda dei casi, nei termini di crimini contro l’umanità, crimini economici e corporativi, crimini ambientali e di sistema.
Le analisi sull’impunità sono diventate via via un elemento centrale e trasversale a tutte le sessioni del Tribunale, grazie al contributo dottrinale fornito dalla sessione sui crimini contro l’umanità in America Latina (1981-1991) commessi durante la transizione da regimi dittatoriali e situazioni di conflitto armato. Anche la sessione su “La conquista dell’America e le origini del diritto internazionale” (1992) può essere considerata una risorsa metodologica e dottrinale unica nel suo genere, applicabile all’intero lavoro del TPP. Essa ha evidenziato come i meccanismi di dominazione concepiti all’inizio del XVI secolo in nome della libertà di commercio (jus communicationis) non abbiano cessato di adattarsi ai rapporti di forza, al dominio economico e finanziario in atto nel mercato mondiale. Fa parte di questo gruppo di sessioni la riflessione sul ritorno della guerra negli anni Novanta come strumento di risoluzione dei conflitti tra Stati (2002). La sessione ha analizzato la crisi allora in atto delle relazioni e del diritto internazionale, le sue cause politiche, i pericoli per l’ordine mondiale e le possibili risposte che possono ad essa prospettarsi.
Un’attenzione particolare va riposta alla frequenza con cui il TPP ha adottato nelle sue sentenze la qualifica di genocidio, dal caso dell’Armenia (1984), del Guatemala (1983), passando fino a quello sull’ex Jugoslavia (1995), per poi arrivare alle sessioni più recenti sui Tamil in Sri Lanka (2010; 2013; 2022), sui Rohingya in Myanmar (2017) e della Colombia (2021-2022). Il TPP ha raccolto elementi di riflessione sulle implicazioni politiche, economiche e culturali dell’assenza sul piano formale del riconoscimento del genocidio. L’esitazione delle istituzioni internazionali competenti in questo ambito conferma la necessità di esplorare i passi da compiere per affermare il diritto alla vita e all’autodeterminazione dei popoli come pietra angolare di un ordine internazionale fondato sui principi dei diritti umani e sulla democrazia.
Le sessioni sui diritti dei bambini e degli adolescenti (1995;1999) hanno inaugurato il tema delle violazioni che riguardano gruppi di persone e collettività oltre i confini nazionali degli Stati. Tra i casi più recenti vi è quello della sessione sui migranti e dei rifugiati (2017-2020) che ha analizzato le conseguenze delle politiche dell’Unione Europea e degli Stati membri in riferimento a temi quali l’esternalizzazione delle frontiere, la criminalizzazione della solidarietà, la salute e il lavoro. Le Sessioni sono state incentrate sulle responsabilità congiunte di ciascuno degli Stati esaminati (Italia, Francia, Spagna, Regno Unito e Germania) e dell’Unione europea e sono state qualificate utilizzando l’espressione di “crimine di sistema” a cui corrisponde “una somma di decisioni adottate nel corso degli anni in diversi paesi e che, per questo motivo, non sono facilmente attribuibili alla responsabilità di persone individuate, di determinati Stati, di specifiche imprese”.