Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) ha recentemente concluso all’Aia una delle sue sessioni più significative sull’impunità dell’omicidio di giornalisti e operatori dei media. La sessione ha evidenziato come uno dei crimini più noti del diritto internazionale, quello dell’ “eliminazione” (questo termine non giuridico riflette la realtà concreta) dei garanti di un’informazione indipendente e verificabile sulla violazione dei diritti fondamentali, individuali e collettivi, sia stato relegato all’impotenza. I casi esaminati dal TPP sono stati esemplari della guerra permanente, diffusa e strutturale di governi statali (e poteri) non democratici e/o esplicitamente dittatoriali contro i giornalisti e i lavoratori dei media in tutto il mondo.
L’informazione è oggi sotto attacco a Gaza.
L’offensiva ordinata dal governo di Benjamin Netanyahu e lanciata dalle forze armate israeliane contro l’enclave palestinese della Striscia di Gaza, in risposta all’attacco di Hamas che il 7 ottobre ha provocato 1.139 morti in territorio israeliano, ha provocato la morte di oltre 24.000 palestinesi, quasi tutti civili, soprattutto donne e bambini. Insieme a loro, sono stati uccisi decine di giornalisti, fotoreporter e altri operatori dei media.
Al 17 gennaio, il Committee to protect journalists ha verificato che 83 giornalisti sono stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro, 76 dei quali palestinesi, 4 israeliani e 3 libanesi. Altri sono feriti o dispersi, altri ancora sono stati arrestati dalle autorità israeliane. Molti altri nomi restano da verificare. Diverse fonti, tra cui il Gaza Media Centre, parlano di oltre 115 giornalisti e operatori dei media uccisi.
Molti di loro sono stati colpiti deliberatamente: da cecchini o droni, mirati con precisione. In un caso, ai soccorritori è stato impedito di raggiungere un reporter ferito per diverse ore, finché non è morto dissanguato. L’organizzazione Reporters Sans Frontières ha documentato numerosi casi in due diverse denunce presentate alla Corte penale internazionale (CPI). L’ufficio del Procuratore Karim Khan ha dichiarato che questi casi saranno inclusi nell’indagine sulla Palestina della CPI.
Vogliamo sottolineare che i giornalisti sono civili che svolgono un lavoro di interesse pubblico e, in quanto tali, non possono essere presi di mira legalmente secondo il diritto internazionale. Invece, a Gaza come nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania o al confine tra Libano e Israele, i lavoratori dei media stanno pagando un prezzo pesante. Nella Striscia di Gaza, in particolare, i giornalisti e gli altri operatori dei media svolgono il loro lavoro in condizioni proibitive, rischiando la vita. Molti hanno perso familiari e colleghi. Tutti potrebbero essere uccisi in qualsiasi momento. Come hanno notato molti osservatori, a Gaza non esiste un luogo sicuro.
Prendere di mira i giornalisti significa cercare di imporre il silenzio sulla sanguinosa guerra in corso. Dall’inizio delle ostilità, la Striscia di Gaza è stata off limits per i reporter internazionali, ad eccezione di rare visite guidate dalle Forze di difesa israeliane. I giornalisti presenti oggi nel territorio sono reporter dei media palestinesi e delle poche agenzie di stampa e televisioni internazionali che avevano un ufficio a Gaza prima del 7 ottobre, oltre a giornalisti indipendenti che stanno documentando gli orrori e condividendo sui social media, tutti residenti a Gaza.
Sono loro che stanno raccontando la tragedia in corso, attraverso i video, le immagini, le notizie che riescono tra mille difficoltà a trasmettere al mondo esterno. Grazie a loro vediamo la distruzione, il collasso della vita civile, il sacrificio di oltre 100 medici e operatori sanitari, la quotidiana lotta per la sopravvivenza di due milioni di sfollati: la guerra raccontata dal terreno.
La libertà di informare e di essere informati è alla base della giustizia e della democrazia ed è tanto più preziosa in contesti di guerra, quando tendono a prevalere narrazioni a senso unico, propaganda e censura.
Attaccare i giornalisti è un crimine di guerra.
Lo spettacolo dell’orrore a Gaza – che ha ampiamente provocato dichiarazioni eccezionali anche da parte di autorità spesso troppo neutrali come le Nazioni Unite, e la convocazione urgente della Corte internazionale di giustizia su richiesta del Sudafrica con una causa contro Israele per genocidio – cambia il quadro di riferimento. Sotto il controllo israeliano, l’informazione indipendente è ora dichiarata un crimine de facto, da proibire, a qualunque costo: proprio come le cure mediche, persino l’anestesia per i bambini e le donne che partoriscono, e le persone a cui vengono amputati gli arti. Israele ha ormai “normalizzato” questo crimine come prodotto di una guerra che sta cancellando anche le ultime tracce di un diritto internazionale che prevede il rispetto del diritto alla vita dei popoli e degli individui in opposizione al concetto di assoluta autonomia decisionale degli Stati come priorità inviolabile.
In rappresentanza dei giudici della sessione su L’impunità dell’assassinio dei giornalisti:
Gill Boehringer (Australia)
Marina Forti (Italia)
Helen Jarvis (Australia-Cambogia)
Kalpana Sharma (India)
Philippe Texier (Francia)
Marcela Turati (Messico)