Intervista a Gianni Tognoni, Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli
Di Flore Murard-Yovanovitch
Il Manifesto. Lunedì 3 novembre 2025
https://ilmanifesto.it/per-il-popolo-migrante-non-punizioni-ma-un-orizzonte-di-speranza
È ormai sistematica, la gravità e la persistenza delle violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti, prova di un regime transnazionale di violenza istituzionalizzata che si manifesta attraverso: la crescente militarizzazione delle frontiere e l’uso sistematico della forza; la proliferazione di luoghi di detenzione spesso al di fuori di qualsiasi quadro giuridico; la criminalizzazione della solidarietà attraverso procedimenti legali o pressioni amministrative, e la diffusione istituzionale di discorsi razzisti e xenofobi che alimentano ulteriormente la stigmatizzazione e la repressione. L’atto di accusa presentato durante l’apertura della sessione del Tribunale Permanente dei Popoli tenutosi a Palermo dal 23-25 ottobre _“Le violazioni dei diritti umani dei migranti da parte degli Stati del Maghreb, dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri” è senza appello.Il Manifesto ha intervistato il suo secretario generale Gianni Tognoni.
Perché il Tribunale Permanente dei Polpoli sceglie ancora una volta, dopo la sessione di Palermo del 2017 e le altre che l’hanno seguita fino alla presentazione conclusiva all’UE, una nuova Sessione sulle persone migranti?
I migranti rimangono al centro di una attenzione, nazionale e internazionale, che si concentra esclusivamente sulla repressione, senza alcuna considerazione concreta propositiva che ne garantisca il diritto fondamentale alla vita e ad un futuro. Con il genocidio del popolo palestinese in corso, i migranti sono un indicatore intollerabile del fallimento delle nostre società e del diritto internazionale nel rispettare gli standard minimi di civiltà. Siamo spettatori di una crisi radicale del ruolo del diritto internazionale di poter prevenire crimini di inumanità. Con questa 56e sessione, che si rivolge ad una delle aree più critiche di un fenomeno globale come è quella del Maghreb, intendiamo riprendere il tema del popolo dei migranti, esposti ad un rischio aggiuntivo di invisibilità in scenari di guerre e genocidi, per contribuire non solo a qualificarne complessivamente la gravità, in modo non frammentato per paesi ed episodi più drammatici, come se fosse parte ‘normale’ di una cronaca ripetitiva, ma a riproporlo come priorità politica, culturale, giuridica dell’agenda europea ed africana.
Ma quale giurisdizione dare a questi soggetti di diritti negati?
Uno degli snodi di fondo è quello di immaginare un vero e proprio Popolo Migrante, non somma di individui casualmente confluenti in ‘flussi’ più o meno intensi, che è un incrocio di sfide geopolitiche internazionali: è imprescindibile integrare la attuale strategia giuridica, concentrata (e per fortuna , spesso efficace) su casi-eventi di violazioni che sono veri e sempre in corso “crimini contro l’umanità” ; confrontarsi con la stessa attenzione allargata e contestualizzata, con la repressione da parte dell’ Ue che vede in questi soggetti dei popoli da “scartare”, e con le politiche nazionali e regionali degli Stati del Maghreb per vederne in modo articolato le reciproche responsabilità; superare una visione del diritto internazionale bloccato sulla questione delle frontiere mentre il fenomeno è trasversale. Al di là delle sue varie realtà, il Popolo migrante deve diventare soggetto collettivo di diritto. Non solo per punire i responsabili ma per generare un orizzonte di speranza e restituire al diritto la sua funzione di garante del futuro. Lo scenario che si presenta nella ‘tribuna di presa di parola’ del TPP (che non è per definizione un processo penale) deve essere visto come provocatorio per i tanti scenari che a livello globale richiedono al diritto, e più a fondo alle culture di pensare al diritto-identità di essere umani come l’unico titolo di diritto, inviolabile, e che non può essere degradato a diventare una variabile dipendente dalla difesa, spesso violenta, di frontiere che sempre più spesso sono espressione di neo-colonialismi economici, finanziari, militari.
I paesi del Maghreb sono accusati di gravissime violazioni dei diritti umani ma in primis anche l’Unione europea per essere all’origine della catena di commando nord-sud delle violazioni dei diritti delle persone migranti negli stati di respingimento e transito.
L’Europa attraversa un tempo drammatico di perdita di memoria dei propri impegni, costituzionali e di civiltà, con politiche addirittura impensabili di riarmamento che invadono letteralmente tutti gli ambiti istituzionali e di comunicazione, in nome di logiche di ‘sicurezza’ che hanno bisogno di vedere-creare nemici, che giustifichino investimenti senza fine. Come le guerre, anche i migranti sono diventati parte di un mercato dove gli attori privati, produttori dell’universo tecnologico della sorveglianza generalizzata e permanente, sono gli alleati degli stati e definiscono i modelli di sviluppo e la strategia di interi paesi. Come perfettamente documentato nei rapporti della relatrice delle Nazioni Unite sulla Palestina, Francesca Albanese, l’apartheid e quindi il genocidio del popolo Palestinese, al di là della questione (più retorica che sostanziale) della loro definizione, ha anche svelato la stretta continuità e complementarietà, in termini di ‘efficacia’ repressiva, degli attori privati e pubblici. La Palestina ha concentrato, in un nucleo, le stesse violenze e violazioni applicati alle persone migranti e ha documentato giorno dopo giorno l’impotenza delle nostre società e della corte penale a difendere, ed ancor meno a contrastare, popolazioni che i poteri dominanti , sul mercato, fino a livello delle Nazioni Unite, decidono di dichiarare nemici, terroristi, diversi, invasori….
Che fare?
Il diritto è anche il prodotto della storia di cui le regole evolvono assecondo dei modelli culturali. Oggi sono tornati, con altri titoli o nomi o mezzi, sultani, sovrani, schiavitù ed è in corso sempre più rapido e diffusivo, lo svuotamento di quel diritto universale che 80 anni fa aveva introdotto per la prima volta nella storia umana un diritto universale: che è da difendere a tutti i costi nella sua affermazione di fondo: che tutti gli umani, senza distinzione, sono soggetti inviolabili, e non oggetto facoltativo, degli stessi diritti, ad una vita nella dignità. Ricostruire ciò che è di fatto distrutto e rimane impunito, non è facile. Nemmeno nel pensiero. Come la ricostruzione di Gaza. Il Tribunale è per definizione un piccolo attore : può dare nome alle responsabilità di commissione di violazioni e di politiche di omissione, mettere in evidenza, e ‘gridare’, in nome delle tante vittime silenziate, torturate, fatte scomparire, che la loro vita non è stata un ‘effetto collaterale’, che si può dimenticare, ma una memoria-seme per il futuro. Le sentenze di un Tribunale ‘dei’ popoli sono strumenti. Punti di partenza. Indicatrici di priorità. Condanna radicale di quel crimine contro l’umanità che fonda tutti gli altri che è la diseguaglianza programmata, perseguita, imposta, impunita di chi è qualificato come il diverso da cui difendersi senza esclusione di colpi.
Quali sono i passi futuri dopo questa sessione unica?
Come si è detto sopra, un TPP è uno strumento che viene affidato anzitutto a coloro che lo hanno domandato. La dichiarazione che qui viene consegnata diventerà in pochissimi mesi una sentenza formale, articolata e documentata. Una piattaforma permanente dei paesi del Maghreb per continuare, in modo coordinato un loro cammino nazionale e regionale? Uno strumento di dialogo-pressione-esplicitazione- pressione politica sull’Unione europea? Toccherà ai popoli che hanno richiesto e reso possibile questo evento, farne un progetto di ricerca: il Maghreb in quanto entità regionale di “esportazione” e transito delle persone migranti è una questione permanente ma invisibilizzata che dovrebbe avere una voce comune. Non è un progetto semplice. In nome dei testimoni che hanno rappresentato i tanti assassinati nelle guerra raccontata in questa sessione ne ricordano l’obbligatorietà.
