55° SESSIONE SULLE DONNE DELL’AFGHANISTAN
Madrid, 8-10 ottobre 2025
- Contesto
Le udienze pubbliche del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) per la sessione del Peoples’ Tribunal for Women of Afghanistan si sono tenute a Madrid, presso l’ICAM (Calle de Serrano, 9), dall’8 al 10 ottobre 2025.
L’udienza si è svolta secondo il programma previsto. Conformemente alle procedure adottate dallo Statuto del TPP in merito alla notifica alle parti accusate, il 16 settembre 2025 è stata inviata allo Human Rights Directorate at the Ministry of Foreign Affairs of the Talibans una comunicazione ufficiale in cui si precisava il diritto di esercitare la difesa in qualsiasi forma e si indicava un tempo adeguato per una presentazione orale, insieme ai nomi dei singoli leader talebani accusati. Non avendo ricevuto alcuna risposta, la Presidente del collegio dei giudici ha chiamato eventuali rappresentanti della difesa durante entrambi i giorni delle udienze, chiedendo loro di identificarsi, se presenti. Nessun rappresentante della difesa si è presentato alle udienze.
Il periodo preso in esame in questa udienza include direttamente i fatti, la giurisdizione, gli attori e le responsabilità che hanno avuto luogo a partire dal 2021, quando i talebani hanno assunto il pieno controllo del paese, a seguito del ritiro delle forze internazionali e della caduta del governo in carica.
La presente dichiarazione preliminare è stata formulata dal collegio dei giudici composto da: Rashida Manjoo (Sudáfrica), presidente del collegio, Elisenda Calvet-Martínez (Spagna), Mai El-Sadany (Egitto/Stati Uniti), Marina Forti (Italia), Araceli García del Soto (Spagna), Ghizaal Haress (Afghanistan), Emilio Ramírez Matos (Spagna) e Kalpana Sharma (India).
La sentenza basata sulle prove fattuali disponibili e sulle disposizioni del diritto internazionale sarà resa pubblica entro i prossimi due mesi.
In primo luogo, desideriamo rendere omaggio al coraggio delle donne afghane e ringraziare in particolare coloro che hanno condiviso le proprie esperienze di vita. Desideriamo ringraziare il team di procuratori, testimoni e organizzazioni richiedenti per la diligenza e l’impegno con cui hanno raccolto e presentato a questo Tribunale una straordinaria quantità di evidenze.
Le organizzazioni richiedenti, ovvero Rawadari, l’Afghanistan Human Rights and Democracy Organization (AHRDO), l’Organization for Policy Research and Development Studies (DROPS) e la Human Rights Defenders Plus, hanno presentato la loro istanza al Tribunale al fine di dimostrare l’incessante ricerca di giustizia, dignità e pari diritti da parte delle donne afghane. Hanno auspicato che l’istituzione del Tribunale potesse dare alle sopravvissute, le coraggiose donne afghane, la possibilità di essere ascoltate nelle udienze pubbliche e di mobilitare l’opinione pubblica mondiale. Ritengono che il processo del Tribunale possa rappresentare una solida testimonianza sulla tirannia, sfidando una pretesa normalizzazione, e precisando allo stesso tempo le responsabilità degli attori coinvolti. È forte la speranza che questo Tribunale consenta alle donne afghane di rivendicare il loro diritto a essere ascoltate, a prendere la parola e a chiedere giustizia di fronte al più estremo sistema di oppressione di genere oggi in atto. Le organizzazioni richiedenti hanno esortato il Tribunale a deliberare sulle accuse di crimini e violazioni in Afghanistan, sull’impatto generazionale della situazione attuale e sulle sue implicazioni per i diritti delle donne al di là dei confini afghani.
Hanno inoltre affermato che ad averle portate davanti al Tribunale è stato il sistema nazionale di persecuzione in Afghanistan. Si è trattato di una scelta dettata dalla necessità. Nonostante gli sforzi internazionali in corso per garantire la responsabilità — tra cui le indagini della Corte Penale Internazionale sull’Afghanistan, un potenziale caso presso la Corte Internazionale di Giustizia, l’attuale mandato del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sull’Afghanistan, il lavoro degli organi pertinenti dei trattati delle Nazioni Unite, una campagna per codificare l’apartheid di genere e un nuovo meccanismo investigativo indipendente per raccogliere e salvaguardare le prove per futuri procedimenti giudiziari — la sentenza del Tribunale potrebbe rappresentare uno strumento aggiuntivo e immediato per un riconoscimento definitivo delle responsabilità.
I procuratori hanno identificato i talebani non solo come l’autorità di governo de facto, ma anche come responsabili di una campagna coordinata a livello statale di persecuzione di genere, condotta con l’intento di cancellare le donne dalla vita pubblica e di trasformare la società afghana in una società patriarcale. I procuratori hanno accuratamente documentato, sostenuti dalle dettagliate narrazioni dei testimoni, che la campagna di repressione dei Talebani si basa sulla violenza, sulla coercizione e sulla presunta giustificazione religiosa giustificata esclusivamente da una specifica percezione talebana dell’Islam e della Sharia.
Il collegio dei giudici ha ascoltato i procuratori e i testimoni argomentare che, durante il primo governo talebano, il periodo di insurrezione (2001-2021) e dal loro ritorno al potere nel 2021, l’imposizione di severe restrizioni di genere riflette un modello di violenza contro le donne, dimostrando il fondamento di un’ideologia patriarcale. I procuratori hanno inoltre sottolineato che le testimonianze delle sopravvissute e degli organismi internazionali rivelano una campagna coordinata per escludere, zittire e controllare le donne, vietando loro l’istruzione, impedendo loro di lavorare, cancellandole dalla vita pubblica, imponendo un rigido codice di abbigliamento, limitando loro l’accesso all’assistenza sanitaria e punendo con crudeltà ogni dissenso. Hanno inoltre affermato che questi atti non sono isolati, ma fanno parte integrante delle politiche dei talebani.
- Il diritto
Il team dell’accusa sostiene che il comportamento del governo talebano nei confronti delle donne e delle ragazze afghane, a partire dal 15 agosto 2021, costituisce persecuzione di genere ai sensi dell’articolo 7(1)(h) dello Statuto di Roma, che definisce il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere nel modo seguente: «Ai fini del presente Statuto, per crimine contro l’umanità̀ s’intende uno degli atti di seguito elencati, se commesso nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell’attacco: […] (h). Persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale ai sensi del paragrafo 3, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte». Il team dell’accusa sostiene inoltre che il comportamento dei talebani nei confronti delle donne e delle ragazze afghane dal 15 agosto 2021 coincide, ai sensi dell’articolo 7(1)(k) dello Statuto di Roma, a quegli «altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze» elencati tra i crimini contro l’umanità.
Il team dell’accusa sostiene ancora che il comportamento dei talebani nei confronti delle donne e delle ragazze afghane dal 15 agosto 2021 costituisce una violazione di numerosi trattati internazionali in materia di diritti umani, di cui l’Afghanistan è parte contraente: la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione contro la discriminazione nell’istruzione, la Convenzione sui diritti politici delle donne, la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Come affermato dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, gli obblighi derivanti dai trattati internazionali rimangono vincolanti per le autorità che succedono alle precedenti, indipendentemente dai cambiamenti politici o di regime. Di conseguenza, i talebani, in qualità di entità de facto al governo in Afghanistan, sono tenuti a rispettare tali impegni giuridici.
- Gli strumenti e le tattiche utilizzati dai talebani contro le donne e le ragazze afghane
Durante le udienze, il Tribunale ha ascoltato testimonianze relative al sistema di oppressione più estremo nei confronti delle donne e delle ragazze afghane. I talebani hanno istituzionalizzato la discriminazione e la repressione delle donne e delle ragazze afghane emanando oltre 100 editti e decreti vincolanti. Le testimonianze condivise illustrano la realtà delle donne oppresse, non solo attraverso questi decreti e divieti, ma anche attraverso i loro meccanismi di applicazione, che soggiogano e controllano le donne e le ragazze afghane, sia individualmente che collettivamente. Questi strumenti e tattiche includono minacce di morte (lapidazione e decapitazione), violenza sessuale e minacce rivolte ai familiari. I talebani disumanizzano e stigmatizzano le donne e le ragazze afghane utilizzando un linguaggio specifico che spesso include etichette come “prostituta” e “donna cattiva”.
Questi editti hanno impedito alle donne e alle ragazze afghane di accedere all’istruzione di livello secondario e universitaria, negando loro il diritto all’apprendimento e alla carriera. Obbligando le donne afghane ad essere sempre accompagnate da un parente stretto di sesso maschile (Mahram), i talebani hanno limitato non solo la loro libertà di movimento, ma anche l’accesso alle strutture sanitarie, alle cure di medicina di base, ostetriche e dentistiche e a molti altri servizi. Le testimonianze delle donne illustrano anche come la discriminazione le colpisca in modi diversi a seconda che vivano in aree urbane o rurali.
Dal 2021, i talebani hanno escluso le donne dalla maggior parte dei settori lavorativi, vietando e limitando alle donne afghane la possibilità di lavorare presso istituzioni governative, ONG e organizzazioni internazionali. Queste misure hanno conseguenze economiche e sociali devastanti per il popolo afghano, lasciando gli uomini come unici capifamiglia e privando le donne della loro indipendenza economica. Inoltre, è stata vietata la partecipazione politica delle donne, escludendole dai loro diritti civili e politici.
I talebani prendono sistematicamente di mira le attiviste afghane, utilizzando sistemi di sorveglianza e reprimendo chiunque partecipi alle proteste. Se vengono scoperte a manifestare per l’uguaglianza, le donne vengono arrestate e rapite dai talebani, per non aver coperto il proprio corpo, per essere uscite senza il loro Mahram e per aver pubblicato le loro opinioni sui social media. Secondo i testimoni, si tratta spesso di detenzioni arbitrarie, durante le quali le donne sono sottoposte a tortura, maltrattamenti, violenze sessuali e costrette a confessioni estorte con la forza. Le donne e le ragazze afghane sono inoltre vittime di uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate, attacchi suicidi e lapidazioni, rischiando di perdere il diritto alla vita e alla dignità.
- Testimonianze dei testimoni
«Questa non è solo la mia storia, ma la storia di tutte le donne e le ragazze in Afghanistan». Queste le parole di una testimone davanti al Tribunale, un sentimento che si sarebbe ripetuto numerose volte nel corso dei due giorni di udienze. Infatti, mentre il Tribunale ascoltava le testimonianze, sono emersi numerosi temi ricorrenti.
I testimoni hanno descritto il comportamento dei talebani nei confronti delle donne e delle ragazze afghane dal 15 agosto 2021 come repressivo e in continuo peggioramento nel tempo. Quando i talebani hanno preso di mira l’istruzione, per esempio, hanno inizialmente negato alle donne e alle ragazze l’accesso all’istruzione di grado secondario, poi a quella universitaria, per poi estendere ulteriormente le restrizioni. «L’istruzione è il cuore pulsante dei diritti umani», ha affermato l’accusa, descrivendo in dettaglio cosa hanno significato nella pratica questi divieti: esclusione economica, disumanizzazione sociale, violenza strutturale e impatto sull’autonomia fisica. Le testimoni si sono chieste perché il perseguimento dell’educazione sia considerato un crimine e hanno contrapposto i divieti e le restrizioni dei talebani al comandamento coranico di leggere.
Il fatto che i talebani abbiano stabilito che le donne devono essere accompagnate da un Mahram per accedere alle cure mediche, insieme alle restrizioni alle operatrici sanitarie, condiziona pesantemente l’accesso alle cure, così come il divieto di istruzione: non potendo più studiare medicina, le donne non potranno diventare medici o operatori umanitari, e questo provocherà una strutturale carenza di personale medico. Con la chiusura dei centri di consulenza in tutto il Paese, alle donne che cercano assistenza per la salute mentale viene detto: «Sii paziente e arrenditi al tuo destino». Numerose testimoni hanno raccontato di aver sperimentato pensieri suicidi e di come gli atti di autolesionismo tra le donne siano aumentati da quando i talebani hanno assunto il controllo de facto. Hanno anche sottolineato che le donne soffrono e muoiono per malattie che si potrebbero prevenire. In un caso, una donna incinta in travaglio è stata respinta da un ospedale perché non era accompagnata da un Mahram.
Le donne con disabilità sono isolate e confinate in casa. La Costituzione afghana del 2004 garantiva protezione costituzionale alle persone con disabilità, offrendo loro la possibilità di accedere all’istruzione e al mondo del lavoro. Tuttavia, i Talebani hanno successivamente annullato queste disposizioni, lasciando le donne e le ragazze con disabilità ad affrontare conseguenze ancora più gravi. Una testimone ha raccontato di essere stata presa di mira dalla polizia morale per aver indossato un abito che non strisciava sul pavimento, in modo da non interferire con la sua sedia a rotelle. Ha anche spiegato che è difficile recarsi dal medico, perché i tassisti spesso hanno paura di fermarsi per le donne e le ragazze, comprese quelle con disabilità.
Sebbene per decreto sia stabilito che per i viaggi oltre i 72 chilometri è necessario un Mahram, nella pratica le restrizioni sono ancora più severe. I conducenti di mezzi pubblici e taxi spesso rifiutano le donne che non hanno un Mahram, anche in caso di emergenza. Una testimone ha raccontato di essere una di sette sorelle e di come avendo come Mahram solo il padre, la libertà di movimento è ridottissima e le costringe a rimanere a casa anche per le indispensabili necessità del quotidiano.
Alle donne afghane viene ripetutamente detto: «Il tuo posto è a casa»: le restrizioni al diritto al lavoro si estendono anche rigidamente istituzioni governative, organizzazioni della società civile o agenzie internazionali. Nelle parole di una testimone: «Prima del 2021 avevo un lavoro e potevo uscire. Ora non ho un lavoro e non posso uscire. Il mio spirito è distrutto. Tutto nella mia vita è stato azzerato. Dio non ha mai detto di confinare le persone nelle loro case. Perché mettere le donne in isolamento?».
Quando le donne e le ragazze sono scese in strada per protestare pacificamente contro il comportamento dei talebani, sono state sottoposte a una violenta repressione, con percosse diffuse con il calcio dei fucili AK-47, spray al peperoncino, percosse per chiunque fosse presente per filmare le proteste. Molte testimonianze hanno riguardato e descritto anche la chiusura dello spazio dedicato alle donne nei media televisivi e, più in generale, nella sfera mediatica. I talebani hanno usato come scusa la sicurezza e la morale pubblica per reprimere la libertà di espressione e di associazione delle donne.
Spesso, quando venivano arrestate, le donne venivano rinchiuse in centri di reclusione informali, senza mandato di arresto valido, il che ha portato a sparizioni forzate e detenzioni in isolamento. Durante la detenzione, le donne subivano percosse e torture. Gli interrogatori sono condotti con violenza fino a confessioni estorte sotto tortura, riguardanti per lo più l’ammissione di essere state fuorviate dall’influenza occidentale. In altri casi, i parenti maschi delle donne detenute venivano maltrattati come forma di punizione o per esercitare pressioni sulle donne. Le testimoni, rilasciate dalla custodia dei talebani a seguito di confessioni estorte con la forza o di pressioni esercitate sulle loro famiglie, hanno descritto la loro apparente libertà in questo modo: «Sono stata rilasciata dalla cella dei talebani per essere confinata in un’altra cella: quella di casa mia». Insieme, le testimoni hanno descritto le politiche e le azioni dei talebani come una chiusura di tutte le porte. «Siamo vive, ma non viviamo; riusciamo a malapena a respirare».
- L’impatto sugli individui, sulle donne e sulla società in generale.
Sopprimendo i diritti delle donne e delle ragazze afghane di muoversi ed esprimersi liberamente, di incontrarsi per sostenersi a vicenda e pianificare strategie d’azione collettiva e di accedere all’istruzione e alla sanità, i talebani hanno ridotto le loro possibilità di scelta e la loro libertà.
Tutte le testimonianze hanno evidenziato l’impatto psicosociale di queste situazioni di estrema violenza, parlando dei loro sentimenti di isolamento, della profonda tristezza e del dolore che attraversano le generazioni, della disperazione per la mancanza di un futuro e della perdita delle opportunità che avevano in passato. Ciò si riflette chiaramente nell’aumento dei tassi di suicidio e dei tentativi di autolesionismo. Eliminare la possibilità che le donne protestino per difendere i propri diritti e limitare le loro interazioni sociali è uno dei modi più efficaci per erodere il benessere individuale e privare le donne del senso di autonomia e della capacità di agire, sia a livello individuale che collettivo.
- Conclusione
Il collegio dei giudici assicura alle donne afghane che la loro voce è stata ascoltata. Sulla base delle testimonianze e delle documentazioni presentate dalle organizzazioni richiedenti e dai procuratori, il collegio dei giudici prenderà in considerazione, tra le altre cose, quanto segue:
- Valutare la condotta dei talebani come crimini contro l’umanità e come persecuzione di genere.
- Ricordare all’Afghanistan i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani.
- Sostenere la codificazione dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità.
- Promuovere la giurisprudenza globale sulla persecuzione sessuale e di genere per affrontare l’impunità e la mancanza di responsabilità.
- Chiedere la responsabilità globale, la restituzione e il ripristino dei diritti umani per tutte le donne e le ragazze afghane.
- Ribadire che la normalizzazione e le interazioni con i talebani da parte della comunità internazionale hanno gravi implicazioni per i diritti di uguaglianza e non discriminazione delle donne e delle ragazze, non solo in Afghanistan, ma a livello globale.



